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Bianco, dolce e morbido

Come lo zucchero (bianco e dolce) e il cotone (bianco e morbido) hanno creato il capitalismo e l’imperialismo, sfruttando il lavoro degli schiavi.

Il libro Sweetness and power di Sidney W. Mintz (Pubblicato in italiano da Einaudi col titolo Storia dello zucchero a partire dal 1990), è un saggio antropologico piuttosto impegnativo, ma ricco di rivelazioni a nostro avviso sconvolgenti. Parla appunto dello zucchero, con la cognizione di causa di uno studioso che ha vissuto molti anni proprio nei luoghi che sono stati la principale fonte mondiale di questo prodotto.

Una delle rivelazioni più sconvolgenti è stata quella che riguarda la tratta e il commercio degli schiavi africani – e non solo. È stata la coltivazione della canna da zucchero nelle isole caraibiche a scatenare lo schiavismo: si stima che il 70% degli esseri umani deportati in America fossero destinati proprio alla produzione dello zucchero. Infatti nel periodo preindustriale il ciclo della canna comportava un lavoro durissimo che non sarebbe potuto essere remunerativo se il coltivatore avesse dovuto pagare la manodopera. Lo risolsero così, costringendo milioni di persone a consumarsi dall’alba al tramonto seguendo ritmi infernali che non davano scampo. Spesso i forzati dello zucchero non riuscivano a sopravvivere per più di dieci anni, ma venivano prontamente rimpiazzati: nel periodo d’oro le navi negriere continuavano a sfornarne di freschi. Della schiavitù abbiamo già parlato in un precedente articolo.

Gli altri prodotti che nel continente americano sfruttavano il lavoro coatto erano, come sappiamo bene, il caffè, il cacao, il riso e il cotone. Di quest’ultimo gli Stati Uniti diventeranno i maggiori produttori al mondo, grazie alla spietata organizzazione degli Stati del Sud, Louisiana in testa con il fiume Mississippi e i famosi e pittoreschi battelli a vapore. Dal porto di New Orleans, una delle città più ricche dell’Ottocento, partivano centinaia di velieri e di “steamer”, i piroscafi a pale destinati a rifornire le industrie britanniche con balle di cotone frutto di torture, frustate e ogni sorta di violenze, oltre alla devastazione di milioni di ettari di foreste.

Le due economie, quella dello zucchero e quella del cotone, si sviluppano in tempi diversi tra il 1600 e il 1900, incrociandosi verso la fine del 1700. Sidney W. Mintz riassume così:

No slavery, no sugar, tobacco, rice, or cotton; no sugar, no British empire; no tobacco and rice, no United States; no cotton, no industrial revolution“. (Senza la schiavitù non ci sarebbero stati zucchero, tabacco. riso o cotone: senza zucchero, niente Impero Britannico; senza tabacco e riso, niente Stati Uniti; senza cotone, niente rivoluzione industriale).

Ora, a parte il cotone che può essere considerato un bene necessario, essendo una fibra tessile di grande versatilità, come è possibile che altre sostanze, totalmente voluttuarie siano state i cardini dello sviluppo del capitalismo e del mondo moderno? Lo zucchero, per esempio, cosa può trascinare con sé?

La storia dello zucchero parte da molto lontano nel tempo e nello spazio. Potete trovarne qui un breve riassunto. La canna ha bisogno di climi caldi e umidi, per cui non trovò terreni favorevoli in Europa, a parte certe zone della Sicilia e della Spagna. Le latitudini ideali erano quelle dei tropici, e fu Cristoforo Colombo, in uno dei suoi viaggi, a portare in America le prime canne da zucchero, e dopo pochi anni le potenze coloniali di allora, tra cui la Francia, cominciarono a sfruttarne la produzione intensiva. Gli inglesi arrivarono dopo, quando ancora questa sostanza, fino allora quasi sconosciuta in Europa, veniva raffinata e commercializzata come una “spezia”, ossia un prodotto adatto per preparazioni farmaceutiche o per arricchimenti sofisticati dei banchetti degli aristocratici. Gli inglesi però avevano un altro mercato, quello del tè. Dapprima lo importavano dalla Cina, e in seguito cominciarono a produrlo “in proprio” sfruttando le colonie delle Indie Orientali. Dunque, tè dall’oriente; zucchero dall’occidente. In mezzo l’impero britannico alla soglia dell’era industriale e della nascita del proletariato urbano. Tutto intorno, una serie di triangoli mercantili di cui i sudditi britannici, flemmatici e inconsapevoli, godevano i frutti.

Uno di questi triangoli riguardava appunto lo zucchero. Navi di trafficanti sbarcavano merci varie – tra cui alcol e armi – nei porti atlantici dell’Africa, e ripartivano cariche di schiavi. Nei Caraibi – Cuba e Barbados in testa, sbarcavano la merce umana e caricavano barili di zucchero grezzo, melassa e altri prodotti della canna, destinati alla raffinazione e al mercato interno britannico. Dai porti inglesi ripartivano cariche di attrezzature, arredamenti e strumenti di tortura destinati alle colonie. Mai un viaggio veniva fatto a vuoto. Dall’altra parte del mondo, i vascelli del tè e delle spezie pregiate salpavano dai porti indiani, anch’essi diretti in Inghilterra, e naturalmente ripartivano carichi di merci, medicinali e armi prodotte dalle fabbriche inglesi e destinate al mercato indiano. Erano giri in cui vincevano tutti, almeno apparentemente.

Chi non vinceva, sicuramente, erano i lavoratori delle colonie. Oltre agli schiavi quelle popolazioni annoveravano i servants, detti con un eufemismo “lavoratori a contratto”. Si trattava di persone che, per qualunque motivo, si trovavano con debiti che non potevano restituire. Venivano assoldati dai piantatori senza scrupoli, che li obbligavano a lavorare gratis fino all’estinzione del debito. Tra questi vi erano molti emigrati europei e cinesi, che con questo sistema pensavano di pagarsi il costoso viaggio attraverso l’oceano. Spesso venivano trattati peggio degli schiavi, dato che questi ultimi costituivano dopo tutto un investimento.

Inoltre, in madrepatria c’erano i proletari, categoria nuova di zecca nella società occidentale. Lavoravano per pochi soldi nelle fabbriche tessili, nelle distillerie o nelle miniere, e non possedevano nient’altro se non la loro prole (da cui il nome). Ritmi di lavoro frenetici con brevi pause, sotto la stretta sorveglianza dei capireparto, rendevano la loro vita simile a quella dei loro colleghi delle colonie, ma con una sostanziale differenza: in madrepatria avevano la pausa per il tè. Un tè dolce, accompagnato da una fetta di pane spalmata di marmellata, ed eccoli pronti a ricominciare il turno massacrante. Lo zucchero è saccarosio puro, un carboidrato semplice di immediato assorbimento, il tè è ricco di caffeina, è caldo ed è eccitante. Una fetta di pane addolcito dalla marmellata o uno o due pasticcini rendono questa pausa degna di un appartenente alla media borghesia. Ecco in che modo il capitalismo ha acquistato la fiducia e la fedeltà dei lavoratori. Ecco perché lo zucchero sempre più economico ha alimentato il motore del capitalismo.

Durante la rivoluzione industriale il consumo pro capite di zucchero passerà da pochi grammi a oltre otto chili all’anno per ogni suddito del Regno Unito. A questo andrebbe aggiunto il rum, prodotto dalla melassa di canna. Le abitudini alimentari e sociali cambieranno, intorno a queste sostanze che – per la prima volta – arrivano sulla tavola partendo da luoghi remoti del mondo. Per degli ex contadini abituati a cibarsi dei miseri prodotti dei loro stessi terreni, questo è un balzo vertiginoso.

Venendo ora al cotone, dobbiamo spostarci sull’altra sponda dell’Atlantico. Infatti questa pianta esisteva già ed era conosciuta dalle civiltà precolombiane. Quando poi arrivarono le manifatture e le piantagioni cotoniere, tutto cambiò. Anche il cotone richiede un lungo lavoro di accudimento, dopo la semina e fino al raccolto. Al ciclo produttivo ovviamente erano adibiti gli schiavi: maschi e femmine, adulti e bambini, dato che non si trattava solo di lavori di forza. Specie nella fase finale, quella della separazione della fibra tessile dai semi (sgranatura). Un tempo veniva effettuata a mano, e in seguito arrivarono delle macchine rudimentali, da azionare ancora a mano. Con queste sgranatrici Il risultato era una filiera abbastanza equilibrata come impiego di manodopera, dalla semina all’imballaggio. Il prezzo del cotone così prodotto era piuttosto alto. Poi arrivò la cotton gin.

Cotton gin sta per “cotton engine”, macchina inventata nel 1793 dall’americano Eli Whitney, e perfezionata successivamente da numerosi inventori. Queste macchine, azionate dall’acqua o dal vapore, rendevano la sgranatura un’operazione rapida ed estremamente efficiente: da una parte andava la fibra già pronta per essere legata in balle, dall’altra andavano i semi per la produzione di olio e di combustibili. Il problema ora era che la piantagione non riusciva a star dietro all’efficienza delle macchine: bisognava ingrandire e acquistare nuovi schiavi per far fronte all’aumento di efficienza. Insomma, paradossalmente l’inizio dell’era industriale coinciderà con un aumento della schiavitù e del lavoro coatto. Il prezzo del cotone americano scenderà grazie a questa espansione produttiva, tanto da trasformare gli Stati del Sud nei paesi più ricchi del mondo, parlando di reddito pro capite (ovviamente dei Bianchi). Lo testimoniano le architetture “coloniali” delle case dei proprietari, enormi e lussuose.

Nei primi anni dell’Ottocento gli Stati Uniti acquistarono i possedimenti ex-francesi intorno a New Orleans e chiusero le frontiere all’importazione di schiavi africani, ma non per questo abolirono la schiavitù e le altre forme di sfruttamento della forza lavoro. Gli Stati del Sud, con le loro piantagioni di cotone in piena espansione, fecero fronte a questa nuova situazione acquistando schiavi dagli Stati del Nord, il che provocò una delle più grandi migrazioni interne degli Usa. Spietati, come sempre, i proprietari delle piantagioni non si preoccupavano di separare famiglie, né controllavano i documenti delle persone che arrivavano. Fu così che molti uomini liberi del Nord venivano rapiti e venduti negli Stati ad economia cotoniera della valle del Mississippi. Sarà quella, anche, una delle cause che scateneranno la Guerra Civile americana.

Leggete anche questo: https://64parishes.org/entry/plantation-slavery-in-antebellum-louisiana. C’è anche una storia vera sul rapimento degli uomini liberi, raccontata dal protagonista nel libro Twelve years a slave, diventato poi un film diretto da Steve McQueen, con Brad Pitt (2013)

Zer037, ottobre 2024

Postilla tecnica. Lo zucchero è l’unico composto chimico che consumiamo praticamente puro (a parte l’acqua). Si chiama saccarosio, un disaccaride dato dalla combinazione di glucosio con fruttosio, entrambi monosaccaridi. Viene usato in moltissimi prodotti industriali anche non dolci, sia allo stato puro, sia come zucchero invertito, ossia scomposto nelle due molecole che abbiamo visto. Il glucosio a volte prende il nome di destrosio e lo troviamo nelle fette di pane morbido, mentre il fruttosio, presente nella frutta ma soprattutto prodotto industrialmente, prende anche il nome di levulosio nelle etichette di alcuni prodotti, specie dietetici e medicinali. Per quasi tutta la storia dell’umanità si è fatto tranquillamente a meno dello zucchero, essendo una sostanza praticamente inutile. Solo da duecento anni a questa parte sembra sia diventato un alimento irrinunciabile, grazie alla spinta commerciale e capitalistica dell’Impero Britannico, grazie al suo tè dolce coi pasticcini.

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