Nel precedente articolo sul Sole abbiamo fatto una brevissima carrellata lungo la storia della nostra conoscenza sul suo funzionamento. Abbiamo anche citato il romanzo di fantascienza “Guida intergalattica per gli Autostoppisti“, dove tra l’altro si parla di un motore a improbabilità infinita, in grado di far muovere istantaneamente un’astronave da un qualunque punto della Galassia a qualunque altro. Può darsi che l’autore non avesse alcuna intenzione di dire qualcosa di sensato, mosso dal proverbiale umorismo inglese, eppure, cosa possiamo immaginare di infinitamente improbabile, se non le reazioni nucleari che si svolgono all’interno del sole? L’astrofisico Leonardo Mureddu, che collabora saltuariamente con noi, qualche anno fa ha pubblicato un volumetto divulgativo nel quale racconta tutte le fortune che hanno portato dal Big Bang fino alla vita intelligente sulla Terra: una serie di casi fortuiti per i quali dobbiamo ringraziare l’Universo (si fa per dire) per essersi dotato di grandi numeri, solo grazie ai quali certe situazioni improbabili sono diventate certezze, almeno per noi, qui, ora. Il Sole queste improbabilità le batte tutte, tanto che solo recentemente gli scienziati hanno dovuto ammettere, un po’ a malincuore, che le cose andavano – e vanno – proprio così. Vediamo come.
Ma prima una premessa. Esiste tantissima letteratura, scientifica e divulgativa, che tratta di fisica solare. Un argomento estremamente complesso, che ha richiesto l’apporto di centinaia, forse migliaia di ricercatori di altissimo livello, teorici e sperimentali, matematici e filosofi, tecnici e ingegneri, fisici e astronomi, uomini e donne, tante donne. L’elenco dei nomi coinvolti è talmente lungo che preferiamo qui non farne neppure uno. E ha richiesto tanto denaro per i più grandiosi laboratori mai realizzati sulla terra, dagli acceleratori di particelle ai rivelatori di neutrini, eccetera eccetera. Possiamo quindi dire che la conoscenza del Sole sia la più grande conquista collettiva dell’umanità, e ancora non ci ha consegnato tutti i suoi segreti. Ma siamo sulla buona strada, e l’abbiamo percorsa tutti insieme.
Il problema è che, malgrado la vicinanza – solo 150 milioni di chilometri, 8 minuti-luce – non possiamo esaminare l’interno del sole se non per vie indirette. Per esempio, esiste un modello teorico standard basato su calcoli matematici, che serve per confrontare ciò che si vede con ciò che si immagina. Come nel famoso gioco della “scatola nera“, il modello cerca di costruire un interno che possa produrre esattamente le informazioni che vengono rilevate; poi si fanno le misure, si confrontano i risultati e si aggiusta di conseguenza il modello. È un sistema lento, ma pian piano, come dicono i fisici, “converge”. Così ora sappiamo qual è la temperatura del nucleo solare, intorno ai 15 milioni di gradi. Nemmeno tanto alta a pensarci bene. Sappiamo, dalla teoria e dalle osservazioni, di cosa è composto il sole: principalmente di idrogeno, con l’elio al secondo posto ben staccato e una piccola percentuale di altri elementi più pesanti. Quest’ultima conquista è di meno di un secolo fa, ma un secolo fa la fisica era veramente impreparata a capire il sole: pensate solo che si immaginava che esistessero due sole particelle elementari, il protone e l’elettrone, e con quelle si cercava di far funzionare tutto.
E ora, ma non da tanto, sappiamo come funziona il motore interno. Si chiama “reazione p-p” (protone protone) ed è banalmente una fusione nucleare nella quale in qualche passaggio quattro nuclei di idrogeno (protoni) si uniscono per creare un nucleo di elio liberando un botto di energia. Detto così sembra semplice, ma la teoria diceva semplicemente che fosse impossibile, e infatti lo è, quasi.
Vediamo un numero alto: diecimila miliardi di miliardi (1022). Provate a scriverlo con tutti gli zeri, e immaginate di giocare a una lotteria nella quale la probabilità di vincere sia l’inverso di quel numero. Cosa direste? Non gioco neppure tanto sicuramente non vinco. Così potrebbe pensare un protone nel nucleo del sole, infatti le sue probabilità di trovare un partner per cominciare la festa della fusione sono tanto piccole. Vediamo perché.
L’interazione protone-protone che dà inizio alla catena si verifica solo se uno dei protoni in collisione viaggia cinque volte più veloce della media di tutti gli altri. E anche in questo caso, la collisione deve essere quasi esattamente frontale: un protone in rapido movimento che colpisce un altro protone solo di striscio non sarà in grado di attraversare la barriera elettrica. All’interno del Sole, solo un protone su cento milioni viaggia abbastanza velocemente anche per una collisione frontale. E non basta: occorre che nell’istante della collisione uno dei due protoni “sputi” la sua carica positiva, trasformandosi in neutrone, altrimenti i due partecipanti si uniscono per un brevissimo istante e poi si separano. Il risultato deve essere un deutone (nucleo di deuterio o “idrogeno pesante”) stabile, pronto per la fase successiva. Ogni protone nel cuore del Sole è coinvolto in una collisione con altri protoni milioni di volte al secondo. Tuttavia, i calcoli quantistici mostrano che in media un singolo protone impiegherebbe oltre 13 miliardi di anni per trovare un partner in grado di unirsi a lui per formare un deutone attraverso una collisione frontale. Alcuni impiegheranno più tempo della media; altri troveranno i loro partner più rapidamente.
Piccolo inciso: poche righe sopra abbiamo affermato che un certo protone “sputa” la sua carica positiva. Dentro questa affermazione ci sono decenni di fisica teorica e sperimentale, dato che quella carica non è altro che un positrone, ossia una “antiparticella” che nel nostro universo non è particolarmente diffusa: infatti le antiparticelle costituiscono l'”antimateria” che appena incontra la materia si “annichila” trasformandosi in energia pura. Che ne è del nostro positrone appena creato? Semplice: una microfrazione di secondo dopo incontra un elettrone e si annichila generando un formidabile raggio “gamma”, uno dei fotoni più energetici che esistano nello spettro elettromagnetico. Energia allo stato puro! ecco che comincia a vedersi qualcosa. Morale: per vivere abbiamo bisogno anche dell’antimateria.
Vi risparmiamo la seconda parte della storia del nostro deutone appena nato. I più curiosi possono studiare qui tutte le fasi della doppia catena, che passa attraverso due nuclei instabili di elio-3 e alla fine approda nell’elio-4, estremamente stabile e durevole. Il tutto in una ridda di emissioni di raggi gamma e di neutrini. Questi ultimi sono dei risultati di scarto, che si portano via un po’ di energia senza combinare quasi niente. Sono utili per altro, come ben sanno i fisici. Insomma, tagliando corta una storia lunghissima, ora abbiamo l’energia, sotto forma di radiazioni gamma. Cosa ne facciamo?
I fisici sanno bene cosa sono i raggi gamma: sono armi micidiali che seminano la morte di qualunque forma di vita. Infatti nell’industria si usano per sterilizzare i ferri chirurgici. Se la terra venisse investita dai raggi gamma prodotti nel nucleo solare verrebbe sterilizzata in pochi secondi. Occorreva inventarsi qualcosa per ammorbidire il risultato. Questo qualcosa ha un che di magico, ma anche di perfettamente coerente con il resto della nostra stella. Infatti le reazioni di cui abbiamo parlato si svolgono un una zona estremamente densa e opaca dominata da una specie di gas di particelle ionizzate – il plasma. Per un raggio di 150.000 chilometri questa sfera caldissima e densissima non si lascia attraversare con facilità neppure dalla radiazione. Un fotone gamma appena prodotto, pur viaggiando alla velocità della luce non riesce a percorrere neppure un centimetro senza incontrare una particella (in genere un elettrone) dal quale viene assorbito, per poi venire riemesso subito dopo con un po’ meno energia e con una differente direzione. Questo fenomeno, ben noto da tempo, si chiama “Effetto Compton” ed è una specie di diffusione delle onde elettromagnetiche. Insomma, un centimetro alla volta, con angoli casuali in avanti e indietro, pian piano il raggio gamma prodotto dalla reazione p-p si trasforma in una serie di fotoni di energia minore e di maggiore lunghezza d’onda, che si avviano verso la superficie del sole attraversando vari strati, sempre rimbalzando qua e là. Quanto tempo richiede questo gioco? Ecco un altro numero da togliere il fiato: c’è chi dice milioni di anni, chi solo diecimila, infine c’è un autorevole articolo dell’AstroPhysical Journal che fissa questo tempo (medio) in 170.000 anni. Questo il tempo richiesto all’energia prodotta dal cuore del sole per raggiungere la fotosfera, quel guscio a circa 6.000 gradi da cui viene irradiata la “luce solare”. Da lì, in otto minuti arriva da noi e produce tutte le cose belle che conosciamo. Ogni volta che vediamo un raggio di luce entrare dalle tapparelle proviamo a pensare che si tratta del risultato di un processo p-p cominciato dentro il Sole quando sulla Terra si era in pieno Paleolitico.
Quel modello standard di cui abbiamo parlato sopra, una volta messo a punto con i dati osservativi – è questo il bello dei modelli – è in grado di fare di più che semplicemente descrivere il nostro sole: basta modificare qualche parametro e ci potrà raccontare la vita passata e futura, sia del sole sia di altre stelle, più piccole o più grandi, facendoci indirettamente scoprire altre fortune che ci sono toccate. Per esempio, in questa paginetta non abbiamo parlato della massa e della densità, e neppure dell’energia che viene generata in quella tremenda fornace. Anche in questi campi si trovano numeri strabilianti, sia in un senso (enormi), sia nell’altro (piccoli e tutto sommato deludenti). Per esempio, di quanti metri cubi di nucleo solare avrei bisogno per avere l’energia sufficiente per la mia moka di caffe? Lasciamo questo argomento a una prossima chiacchierata.
Zer037, marzo 2025
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