L’universo della fantascienza brulica di vita: addirittura nella fantasia dei filosofi e degli scrittori dei secoli passati ogni pianeta doveva necessariamente ospitare esseri più o meno intelligenti, più o meno simili a noi e ai nostri compagni terrestri, piante comprese. Il principio era semplice (principio copernicano): Dio ha creato il cielo le stelle e i pianeti, quelli che possiamo vedere e quelli che non possiamo neppure immaginare. Come potrebbe essersi limitato a creare la vita su uno solo di questi?
Carl Sagan, astronomo e divulgatore scientifico – e autore di fantascienza – affermava: “L’universo è un posto piuttosto grande. Se ci fossimo solo noi sarebbe un enorme spreco di spazio”. Affermazione ripresa da Jodie Foster nel bellissimo film Contact di Robert Zemekis. Il ragionamento non fa una grinza. Ma allora, come direbbe Enrico Fermi, dove sono tutti quanti?
Insomma, la logica ci vuole in buona compagnia. L’evidenza però smentisce e delude questa aspettativa. È vero che siamo giovani, almeno dal punto di vista tecnologico, ma in questi ultimi cento anni pur essendo bene attrezzati non abbiamo ancora rilevato il più piccolo sintomo di vita aliena. Affermazione che verrà prontamente smentita da coloro che sostengono che gli alieni ci sono, altroché, e vivono insieme a noi, viaggiano avanti e indietro dai loro sistemi stellari, compaiono e si fanno fotografare con i loro strani veicoli. Parliamo ovviamente degli ufologi. Può darsi che in un prossimo articolo parleremo di UFO.
Tornando a noi, forse vale la pena studiare un pochino la storia dell’universo prima di cercare di indovinare quanto e come sia popolato. È facile dire: l’universo è vastissimo e antichissimo, dunque ciò che è capitato alla Terra deve essere capitato a chissà quanti altri miliardi di pianeti durante tutti questi miliardi di anni.
Proviamo a limitarci anche solo alla nostra galassia, il sistema di stelle e altri oggetti che compongono la Via Lattea, insomma casa nostra, o meglio la nostra città. Una città piuttosto grande, dato che ha un diametro di 100.000 anni luce e uno spessore di circa 1000: si tratta di una bellissima spirale i cui bracci contengono miliardi di stelle. Nessuno le ha contate con certezza, ma possiamo valutare un numero di 100-200 miliardi, tra quelle che stanno nascendo ora, quelle in piena attività come il sole, quelle vecchie e quelle morte, che si sono trasformate in altri oggetti, tra cui i misteriosi buchi neri, le nane bianche, le stelle di neutroni e via discorrendo, come una specie di circo Barnum dell’astrofisica. Perché tanta abbondanza? Non sarebbe bastato qualcosa di meno? La statistica ci dice di no, non sarebbe bastato un piccolo universo con tante piccole galassie, e possiamo dimostrarlo.
Parliamo per esempio di oro. Sì, il prezioso metallo che si trova sulla Terra con una discreta abbondanza. Da dove viene? A cosa serve? Perché ne parliamo proprio ora? Bene, ci direte, con l’oro si fanno gioielli, monete e medaglie. Ma forse pochi sanno che anche nel nostro organismo c’è un pochino d’oro, e non è lì per caso: serve per ottimizzare alcune funzioni nervose. Senza quei 0,2mg di oro forse il nostro corpo non potrebbe funzionare con la stessa efficienza. E ora l’altra domanda: da dove viene? L’oro viene da un processo complicatissimo che dura parecchi miliardi di anni, un processo di nascita e morte di diverse generazioni di stelle che termina con un evento molto raro: la fusione tra due stelle di neutroni. Solo con l’energia spaventosa sviluppata da questo scontro si riesce a produrre gli elementi più pesanti della Tavola degli Elementi, tra cui appunto l’oro.
Una stella di neutroni è in realtà una stella morta. Un oggetto che ha finito tutto il suo combustibile nucleare e perciò ha smesso di splendere, riducendosi a una piccola sfera di massa spaventosa. Quindi per averne una bisogna aspettare la morte di una stella (qualche miliardo di anni). Anche per questo la fusione tra due stelle di neutroni è un evento raro. Nella nostra galassia, che conta 100-200 miliardi di stelle, questo evento si verifica una volta ogni 50.000 anni: in tutta la vita della galassia, cioè in circa 10 miliardi di anni, si sarà verificato poche centinaia di migliaia di volte. Solo da lì arriva l’oro e gli altri elementi pesanti indicati in giallo nell’immagine in testa, che mostra l’origine di tutti gli elementi naturali (nucleosintesi).
Ecco perché ci vuole una galassia grande come la nostra per garantire la presenza di tutti gli elementi chimici, i mattoncini con cui si costruisce tutto, e in ultima analisi la vita. E ovviamente non è detto che questi elementi si distribuiscano uniformemente e democraticamente tra tutte le stelle e i pianeti: sempre parlando di oro, sappiamo che esistono asteroidi ad altissimo contenuto di metalli pesanti ed altri poverissimi. Dipende dal fatto che nel loro albero genealogico vi sia o no lo scontro di due stelle di neutroni. Noi abbiamo la fortuna di avere avuto dei nonni così, chissà quanti miliardi di anni fa.
Infatti ormai l’avrete capito, la storia dell’universo dal Big Bang a noi è principalmente una storia di “formazione” dell’universo, dai primi atomi alle galassie con tutta la loro popolazione stellare. Solo le stelle più fortunate nascono al posto e al tempo giusto e si circondano di pianeti ricchi e ospitali come il nostro; solo alcuni di questi pianeti trova tutte le condizioni per diventare culla di materia organica e quindi, con altra fortuna, di vita. Il libro Doppio Sei dell’astrofisico Leonardo Mureddu racconta questa storia, e spiega, usando la metafora del gioco dei dadi, quanto sia poco probabile arrivare ad accumulare tutte le fortune che abbiamo accumulato noi, sulla Terra, nel Sistema Solare, all’interno di una Galassia ospitale, in un universo abbastanza vecchio da essere completo di tutto ma ancora abbastanza giovane da permettere lo sviluppo indisturbato di questa meravigliosa vicenda che è la vita intelligente.
E gli altri, allora? Dove sono tutti?