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La città dell’utopia (Nitrati, II parte)

In un articolo di qualche tempo fa abbiamo raccontato alcune storie, tutte legate alla produzione dei fertilizzanti per l’agricoltura – e parallelamente agli esplosivi per gli armamenti. Molto più recentemente abbiamo osservato le conseguenze globali della rivoluzione agricola del Novecento: una spaventosa esplosione demografica largamente dovuta allo sviluppo dei fertilizzanti chimici. Nel primo articolo citato, però, avevamo lasciato aperto un problema che investì gli Stati Uniti subito dopo la prima guerra mondiale: cosa fare degli impianti costruiti per far fronte al bisogno bellico di nitrati. È il momento di raccontare brevemente questa storia, anche perché coinvolge un personaggio di nostra conoscenza.

Come dicevamo, gli impianti per la produzione di nitrati erano quasi pronti quando la Germania si arrese, nel novembre del 1918. Si trattava di un’impresa gigantesca messa in piedi – all’americana – senza alcun risparmio, anche perché riguardava il Dipartimento della Difesa in periodo bellico. Alla fine della guerra però tutto si ferma, compresa la costruzione di una diga che tagliava quasi in due il fiume Tennessee in una delle sue anse più larghe. La diga Wilson (in onore dell’allora Presidente degli Usa). Tra parentesi, quella diga esiste ancora oggi, produce energia idroelettrica e consente la navigazione fluviale grazie a un sistema di chiuse che permettono il superamento di enormi dislivelli.

Degli impianti per i nitrati, uno era pronto e funzionante, alimentato provvisoriamente da una centrale a carbone, l’altro era ancora da completare. Intorno c’erano tutte le infrastrutture costruite ad-hoc, compresa una vera e propria città per i lavoratori, ferrovie, ponti, strade scuole eccetera. La località in cui si trovava (e si trova ancora) tutto ciò era stata un territorio impervio, con zone acquitrinose e rapide pericolose, circondato da terreni poco fertili e infestato dalle zanzare: il Muscle Shoals (qualcosa come “secche dei mitili”, forse perché ricche di quel mollusco). Ora il Governo si trova a dover gestire un apparato ormai inutile, costato parecchi milioni di dollari al contribuente. Decidono di provare a venderlo, giusto per recuperare qualcosa. Qui entra in scena Henry Ford, il costruttore di automobili, l’uomo in quel momento più ricco del mondo. Ha qualcosa in mente.

Di Ford abbiamo parlato parecchio nelle nostre pagine (Vedi 1, 2, 3) e abbiamo presentato un libro che parla delle sue imprese: Ford Modello T, nel quale si accenna anche al suo tentativo di acquisire in leasing i territori in questione. Sappiamo anche che, molto amato dalla popolazione, ha però molti nemici tra i politici e i finanzieri, anche per il suo marcato atteggiamento antisemita. In questo caso si presenta col cappello in mano, non come uomo d’impresa ma come benefattore: vuole realizzare un sogno che accarezza da anni, la Città dell’Utopia. Forse vuole anche diventare Presidente degli Stati Uniti, ed essere ricordato dai posteri come un filantropo.

Recentemente à stato pubblicato un libro sull’argomento: Electric City: The Lost History of Ford and Edison’s American Utopia, di Thomas Hager (Harry N. Abrams 2022), acquistabile anche in ebook. È la storia affascinante di una città mai nata, ma che suscitò dibattiti e convegni scientifici. Fu chiamata la “Seventy-five Mile City”. Se ne occupa anche la prestigiosa rivista Scientific American in un articolo entusiastico pubblicato nel 1922, quando sembrava che la cosa dovesse andare in porto. L’immagine in testa a questo articolo è tratta proprio da quella rivista, e mostra una sovrapposizione tra la scarsa situazione esistente (i due villaggi che si vedono sullo sfondo) e la prospettiva futura.

Avviene così che Ford, in compagnia dell’altro gigante delle invenzioni Thomas Edison – ormai vecchio e un po’ recalcitrante – comincia a mostrarsi nelle zone degli impianti, sollevando interesse da parte della popolazione e della stampa: cosa avrà in mente? Comincia anche a frequentare i Palazzi del potere a Washington, quasi mai personalmente ma tramite persone di fiducia (odiava la politica e i politicanti). Presenta un’offerta per rilevare il tutto, per 5 milioni, cifra piuttosto esigua, promettendo in cambio il completamento della diga e degli impianti dei nitrati, che sarebbero stati adibiti alla produzione di fertilizzanti da vendere a basso costo, così come l’energia elettrica, senza ottenere in cambio alcun lucro per sé e le sue imprese.

Inizia un tira-e-molla con le autorità governative, che durerà alcuni anni, durante i quali continua a delinearsi il profilo della fantomatica città, che forse si sarebbe chiamata Ford Town, oppure “Detroit del Sud” a seconda della fantasia dei giornalisti.

L’utopia consisteva nel far convivere l’industria con l’agricoltura grazie all’energia elettrica e alla meccanizzazione. Una lunga schiera di piccole fattorie, tutte servite da ottime strade e canali navigabili, disposte lungo i fiumi e i laghi, intervallate da industrie manifatturiere, metalmeccaniche, tessili, chimiche. L’operaio Bill con la sua famiglia vive in una di queste fattorie. Lavora in una fabbrica che può raggiungere in auto (Ford T ovviamente) ogni giorno. La settimana di 5 giorni e le otto ore di lavoro al giorno lasciano a Bill il tempo per occuparsi della campagna e del bestiame, grazie anche all’aiuto di macchinari (Ford) che può avere a noleggio o in comodato quando gli servono, e a una serie di consulenti gratuiti. In questo modo i suoi 40 acri di terreno producono verdure, grano, pollame e maiali, oltre al latte di qualche mucca. Nei periodi più intensi dell’attività agricola potrà mettersi in congedo in fabbrica, sapendo di avere la copertura dell’organizzazione cittadina. In questo modo lavora sereno, si arricchisce e può ingrandirsi se vuole, e offrire un futuro ai figli.

Ma non finisce qui: la città del futuro di Ford è tutta elettrica, grazie all’enorme produzione delle dighe. La casa di Bill può contare su luce, radio, riscaldamento e cucina, e anche frigorifero e lavabiancheria, tutto elettrico, cosa alquanto rara negli anni ’20. Niente più trasporto di legna e carbone, niente più inquinamento, niente più sprechi di tempo e di spazio. Una bolletta leggera per Bill, che si integra volentieri in questo sistema produttivo, aiutato dalla moglie che sa preparare le conserve e si occupa di portare al mercato l’eccedenza produttiva.

L’entusiasmo della popolazione locale, il cui numero si accresce a causa delle grandi aspettative, porterà presto alle stelle i prezzi dei terreni edificabili, accaparrati da abili speculatori, i quali cominceranno a costruire strade e fognature in mezzo al nulla, per convincere gli acquirenti che si faceva sul serio. Queste reti, città senza case, esistono tuttora e si possono ammirare attraverso le panoramiche satellitari o nelle visite guidate sul luogo. La speculazione però metterà ancora in cattiva luce la figura di Ford, che sarà facilmente accusato di fomentare la corsa agli acquisti dei lotti per un suo lucro personale. Ford farà anche altri errori, non essendo un politico.

Ne approfitterà un suo grande nemico, il senatore Norris, uomo tutto d’un pezzo di fede statalista, che farà fallire tutti i tentativi di chiusura del contratto Ford. Alla fine l’industriale abbandonerà la corsa e si dedicherà ad altro. Per esempio alla “Città della Gomma” (Fordlandia), in Amazzonia, un’altra sua utopia anch’essa destinata a un rovinoso fallimento (vedi il nostro libro già citato).

Oggi nella zona di Muscle Shoals esistono due grandi dighe sul Tennessee: oltre alla Wilson Dam, l’altra è dedicata a George W. Norris, il grande oppositore del progetto di Ford, del quale porta il nome anche un piccolo grazioso comune, costruito secondo il modello della città-giardino su progetto dello stesso Norris.

(Zer037, settembre 2024)

Ulteriori notizie e qualche immagine le trovate qui, insieme al link di Google maps per sorvolare la zona.

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