Questa foto ci ricorda uno degli ultimi grandi film di fantascienza nel quale i marziani sono protagonisti. Si tratta del famoso Mars Attacks di Tim Burton (1996), un ironico tributo all’immaginario che per oltre un secolo ha popolato le storie e le leggende su Marte. Nel libro La vita sul pianeta Marte (L. Mureddu, Xedizioni 2020), l’autore racconta come sono nate queste storie e leggende, dal punto di vista astronomico e poi da quello letterario e giornalistico.
In realtà, i “marziani” esistono da tanto tempo, se li intendiamo come idea generale di esseri viventi provenienti dallo spazio. L’idea copernicana, abbracciata da Giordano Bruno e altri grandi pensatori, era di un universo democratico, nel quale ogni globo potesse essere un “mondo”, sede di vita più o meno evoluta e intelligente. Così tutti i pianeti, compresa la Luna, potevano essere, o essere stati, abitati. Figuriamoci poi il nostro quasi gemello Marte, o la luminosa Venere. Altrimenti, perché mai Dio li avrebbe creati? Perché dare solo alla Terra il privilegio della vita? Tutto questo, ovviamente, veniva dopo la rivoluzione di Keplero, Galileo e Newton, che avevano finalmente tolto la terra dal centro dell’universo, con buona pace dei teologi di fede tolemaica. Molti roghi e molte persecuzioni segnarono questo passaggio, ma alla fine vinse la scienza, come è giusto.
Fin qui per quanto riguarda le speculazioni filosofiche e le teorie scientifiche. Ma un conto è pensare agli esseri che vivono sugli altri pianeti, un conto è interagire con essi. Finché non c’è alcuna evidenza va tutto bene. Ma mettiamo che un giorno riusciamo ad avere le prove che Marte è abitato: beh, cambia tutto, no? E qui veniamo alla domanda del titolo. Chi ha inventato i marziani?
Ebbene, sono stati gli astronomi, proprio gli scienziati ad affermare che Marte doveva essere abitato da esseri intelligenti. Nella prima parte del libro che abbiamo citato, l’autore fa anche i nomi dei responsabili: l’irreprensibile scienziato italiano Schiaparelli, il sognatore romantico francese Flammarion, e l’entusiasta tycoon americano Lowell, quest’ultimo prestato all’astronomia proprio dopo la lettura dei libri europei. Insomma, un contagio globale avvenuto alla fine dell’Ottocento. Seguono schiere di astronomi, che riescono a farsi finanziare i più potenti mezzi d’osservazione allora disponibili: telescopi giganteschi sui quali cavarsi gli occhi notte dopo notte scrutando e tracciando schizzi – la fotografia astronomica ancora non c’era – di un corpo celeste sfumato, sfocato, piccolissimo anche al massimo degli ingrandimenti. Ma qualcuno aveva visto dei tracciati, delle specie di canali, quasi come delle opere di irrigazione, che si allargavano e si stringevano, a volte si moltiplicavano, e giù a sviluppare teorie sull’andamento stagionale delle acque marziane, sulla necessità che il governo dell’intero pianeta fosse unitario, fino ad arrivare a immaginare un sistema socialista. E che altro? Sicuramente si trattava di esseri intelligentissimi, e forse molto più progrediti di noi – avendo cominciato prima la loro evoluzione. L’unica cosa che ancora non si poteva fare, era dare una fisionomia a questi nostri vicini di pianeta.
Questo sarà il compito della letteratura. Gli stessi scrittori dovranno risolvere altri problemi, tra cui quello più impellente: organizzare un incontro tra le popolazioni di diversi pianeti. Abbiamo già visto che la tecnologia di fine Ottocento non offre alcuna possibilità di staccarsi dalla Terra, se non di poche centinaia di metri con i palloni aerostatici. Un’alternativa è il cannone: si spara un colpo verso il cielo – serve un esplosivo potentissimo – in modo che il proiettile, superando la velocità di fuga e gli attriti dell’atmosfera, riesca a vincere l’attrazione terrestre, a non ricadere e proseguire la sua corsa, per inerzia, verso altri corpi del sistema solare. Magari con persone a bordo. Il razzo ancora non era stato inventato, o meglio esisteva da mille anni ma nessuno pensava si potesse usare sul serio per viaggiare. Servirà il genio visionario del russo Ciolkovskij e poi dell’americano Goddard per trasformare gli ordigni a reazione da semplici trastulli per fuochi d’artificio in motori per l’astronautica. I risultati furono poi sotto gli occhi di tutti con la missilistica e con l’era spaziale del secolo scorso.
Ma torniamo ai nostri marziani. Grandi? Piccoli? Umanoidi o senza alcuna forma? Il primo a inventarne un tipo fisico sarà H. G. Wells, il grande scrittore inglese autore tra l’altro della Guerra dei mondi (1897), forse il capostipite dei romanzi sulle invasioni marziane. Parleremo ancora approfonditamente di questo libro, anche perché stiamo lavorando a una nuova edizione italiana. Per ora accontentiamoci di dare una sbirciata ai marziani di Wells, dei corpi molli, tutti cervello e privi di vere e proprie facoltà motorie, per le quali si affidano a prodigiose macchine che loro stessi costruiscono in parte, e che poi si completano e si replicano da sole. Potrebbe essere questo il futuro dell’evoluzione umana? Da notare che l’autore, ubbidendo forse al leggendario umorismo inglese, fa in modo che i suoi marziani tanto ingegnosi e evoluti non siano stati in grado di inventare la ruota, che invece movimenta da millenni tutta la specie umana.
Questi marziani di Wells lasciano il loro pianeta a bordo di proiettili sparati da spaventosi cannoni, le cui esplosioni vengono avvistate dagli astronomi terrestri. Piombano tutti nelle campagne intorno a Londra, e da qui ha inizio la storia. Forse, per l’autore del romanzo è importante che si tratti di esseri molli e invertebrati: così risentono meno delle spaventose accelerazioni e decelerazioni dovute allo sparo e all’urto sul suolo terrestre. Si fa quel che si può.
Poco dopo, gli alieni in letteratura si moltiplicano. Ancora con cannoni e pochi altri mezzi, anzi proprio come in un sequel della Guerra dei Mondi, i marziani di G. P. Serviss sono ben diversi: umanoidi giganteschi dotati di grandi teste e intelligenza mostruosa quanto criminale. Nel romanzo Edison’s conquest of Mars (1898) daranno un bel filo da torcere alla flotta terrestre, costituita per la prima volta non da proiettili di cannone ma da vere e proprie astronavi. Anche su questo libro stiamo lavorando, per la nostra prossima collana “marziana”.
E… dirà qualcuno, che ne è dei piccoli omini verdi, con o senza antenne che da un certo punto in poi hanno rappresentato il nostro modello di marziano? Per quelli occorrerà aspettare un po’. In letteratura compaiono nel 1912 per la penna di Edgar R. Burroughs, il padre tra l’altro di Tarzan. Burroughs si occupa di marziani in un altro ciclo di romanzi, tra cui A Princess of Mars, dove appunto gli alieni sono verdi. Dilagheranno negli anni ’50, ai tempi dei grandi avvistamenti degli Ufo. Ma questa è un’altra storia.
(Zer037, marzo 2023)