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1450

Secondo Francis Bacon – più conosciuto in Italia come Francesco Bacone -, filosofo vissuto a cavallo del 1600, sono tre le grandi invenzioni che hanno cambiato il volto della storia: la polvere da sparo, la bussola e l’arte della stampa. Spingendoci indietro nel tempo potremmo aggiungere la ruota, e più avanti la radio o internet, fino a creare una top ten delle grandi svolte del progresso umano. Di fatto la stampa ne farebbe parte a gran diritto.

Nei libri di storia si accenna in poche righe alle vicende di Gutenberg, orafo, inventore appunto della stampa a caratteri mobili, illustrato alle prese con un torchio simile a quelli che si usavano in agricoltura. Infatti era proprio un torchio (“pressa”, da cui il nome “press” per la stampa) per la spremitura dell’uva che imprimeva in una sola operazione un’intera pagina stampata, riportando fedelmente le incisioni di una serie di caratteri accostati in modo da formare parole e righe di testo. Siamo a Magonza, una piccola città della Germania centrale, nel 1454. È la nascita della tipografia. Analizziamo più da vicino questa meravigliosa invenzione.

Innanzitutto la tecnica. Niente di nuovo per quanto riguarda l’impressione delle forme: da tanto tempo le tecniche dell’incisione su legno o metallo erano ben note e servivano a riprodurre in serie disegni o scritti. I cinesi avevano inventato già tutto mille anni prima, e stampavano libri. Purtroppo per loro, utilizzavano un sistema di scrittura ideografico che comportava l’esistenza di decine di migliaia di segni differenti, quindi per stampare una pagina occorreva incidere a mano tutto il contenuto della stessa pagina. Poco pratico, dato anche che poi erano ben pochi i letterati in grado di leggere quei segni complicatissimi: tanto valeva copiare a mano i testi, uno alla volta. Proprio come facevano in occidente gli amanuensi nei tranquilli monasteri del medioevo.

Il mondo greco-latino, casualmente, aveva adottato una scrittura che si differenzia da quella ideografica perché utilizza un passaggio in più: anziché associare a ogni singola parola un segno che ne descriva il significato (o “idea”), la scomponiamo in una serie di suoni (o fonemi) privi di significato, a ciascuno dei quali corrisponde un segno preciso, o una combinazione di pochi fonemi semplici (la sillaba). Grande invenzione questa, descritta con entusiasmo da Silvia Ferrara nel libro La grande Invenzione (Feltrinelli 2019), che consigliamo caldamente a chi vuole approfondire senza appesantirsi. Dunque si arriva alle soglie del Rinascimento, in Europa, con una lingua comune dei dotti, ossia il latino, e una serie di lingue locali, o dialetti “volgari”, tutti accomunati dalla caratteristica di essere alfabetici, ossia basati su una piccola serie di caratteri facilmente riproducibili. Ventisei in tutto, se si escludono i segni di interpunzione e i numeri.

Ecco l’idea di Gutenberg: disegnare uno per uno i caratteri necessari per la scrittura, trasformarli in blocchetti incisi di dimensioni standard, e utilizzarli per comporre le pagine di un testo. Facile quando i caratteri sono poche decine in tutto: ci si può sbizzarrire anche con svolazzi e goticismi. Naturalmente non basta incidere ventisei blocchetti: bisogna riprodurli in quantità sufficiente per poter coprire tutte le ripetizioni necessarie pagina per pagina. Così, la seconda invenzione di Gutenberg è quella di creare degli stampi nei quali effettuare delle colate di piombo fuso, in modo da ottenere facilmente le copie di ciascuna incisione. La radice della parola “fondere” è rimasta poi nell’uso tipografico per indicare le famiglie di caratteri: i font.

I caratteri mobili sono solo una parte dell’invenzione. L’altra, ugualmente importante, è quella degli inchiostri, che furono studiati apposta, a base grassa anziché acquosa in modo da poter funzionare con i piccoli stampi metallici. Gran parte del successo delle tipografie dei decenni successivi si deve proprio allo sviluppo di inchiostri pregiati dalle formule segrete.

Tanto per far capire che faceva sul serio, come prima dimostrazione del suo metodo Gutenberg produsse una versione a stampa della Bibbia, in 180 esemplari di 1282 pagine, stampate su due colonne in un bellissimo gotico non tanto leggibile. Impiegò poco più di due anni: un vero miracolo per quei tempi. È inutile dire che questa meravigliosa realizzazione piacque a tutti, ma non alla Chiesa, che vide minacciato il potere che derivava dal possesso esclusivo della conoscenza: i libri, specie quelli sacri, dovevano essere pochi, ben custoditi e tenuti fuori dalla portata dei non adepti. Con la stampa meccanica si rischiava che la lettura potesse diventare di pubblico dominio, e allora sarebbero stati guai!

Infatti la Chiesa non si sbagliava. Il bello delle invenzioni umane è che, se sono valide, si diffondono rapidissimamente. Basti pensare che prima della fine del XV secolo le stamperie erano diffuse in tutta Europa, e principalmente anche in Italia grazie ad alcuni geni e a numerosi artisti che impararono presto a disegnare dei bellissimi caratteri di stampa. Tra i geni è ovviamente da ricordare Aldo Manuzio, l’inventore dell’editoria moderna. Fu lui che tra l’altro immaginò di portare l’oggetto “libro” fuori dai grandi leggii dei chiostri e delle sale da lettura, creando dei volumetti piccoli che potevano essere tenuti in mano – oggi li chiamiamo tascabili.

Molti dei famosissimi caratteri di stampa che troviamo anche nei nostri computer vennero disegnati allora: il garamond, il bembo, il palatino e tanti altri, sia diritti e tondi (romani), sia inclinati e snelli, ossia corsivi (italici). Prima dell’inizio del 1600 erano ormai centinaia di migliaia i volumi che si stampavano in un anno, sia in versioni lussuose, sia in edizioni popolari, alla portata del borghese di media cultura. Una rivoluzione culturale senza precedenti.

Guarda caso, tutte le scritture del bacino del Mediterraneo e dintorni, fino al Medio Oriente, si prestavano per la stampa a caratteri mobili, e questo favorirà in modo impressionante gli scambi culturali in tutti i campi, soprattutto quelli scientifici e matematici. Possiamo dire che il dominio del mondo occidentale sui paesi asiatici si deve anche a questa grande fortuna, ossia di avere estratto dal bussolotto delle possibilità, cinquemila anni prima, una scrittura che poteva essere trasformata in caratteri di stampa. Per arrivarci, in seguito e con molta fatica, i paesi orientali dovettero inventare una scrittura apposita semplificata, che ancora oggi separa la classe media e lavoratrice da quella che detiene l’alta cultura. Ma questo è un discorso che richiede un racconto a parte. Magari in futuro.

(Zero37, gennaio 2023)

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